Giovedì 8 ottobre i rider delle piattaforme di food delivery hanno scioperato in quattro continenti.
Italia, Giappone, Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna, Messico, Ecuador, Colombia, Costa Rica, Brasile, Cile e Argentina: sono alcuni dei Paesi in cui i lavoratori di aziende come Uber Eats, Glovo, JustEat e Deliveroo sono scesi in piazza.
I rider che hanno partecipato agli scioperi contestano alle aziende di aver sistematicamente calpestato i diritti dei lavoratori, sotto l’apparenza di un modello lavorativo moderno e flessibile.
Le aziende considerano i rider “lavoratori indipendenti” pagati a cottimo. Per questo non garantiscono coperture assicurative, continuità lavorativa e salari adeguati.
Dall’altro lato, però, obbligano i rider a una dipendenza di fatto. Secondo i loro algoritmi, più si fanno consegne più si sale in una classifica interna che rende più facile ottenere consegne, e così via. (Avete letto il nostro articolo sulla cattiva gamification?). Chi si ferma, chi rifiuta un ordine, scende velocemente in classifica e rischia di non lavorare più, in una trappola per la competizione che spesso diventa letteralmente mortale. Dall’1 gennaio al 25 ottobre del 2019, in Italia 4 rider sono morti in incidenti e altri 21 sono rimasti feriti.
Negli ultimi mesi, vari Paesi hanno discusso o siglato accordi con le principali compagnie di delivery. In Italia, la Cassazione a gennaio 2020 ha stabilito che i rider vanno considerati dipendenti. Nel 2019, una legge aveva stipulato la firma di un accordo tutelativo entro novembre 2020.
A fine settembre 2020, una proposta di accordo è stata presentata da Deliveroo, Glovo, Just Eat, SocialFood e Uber Eats. Definita da più parti “accordo truffa”, prevede la continuazione del cottimo unito ad alcuni incentivi, ma niente maternità, ferie, malattia.
La proposta è stata firmata da un solo sindacato minoritario, Ugl. Il Ministero del Lavoro, scavalcato nelle trattative, ha già sconfessato l’accordo.