Steve Jobs non abita più quiTempo di lettura: 2 minuti

A un hashtag di distanza dalla nostra bolla Instagram, pagine dai nomi quali “Entrepreneurs lives” e “Business growth mentor” sparano a ritmo continuo foto di Jeff Bezos, Elon Musk e altri giganti del mondo tech schiacciate da frasi motivazionali a caratteri cubitali, aneddoti poco credibili e consigli da cortocircuito cerebrale quali “smetti di prendere consigli dagli altri!”.

“Steve Jobs non abita più qui” di Michele Masneri rappresenta l’antitesi a questo mondo di cieca celebrazione dei signori della Silicon Valley: il libro è un reportage di quello che il giornalista de Il Foglio definisce il suo “Erasmus da quarantenne” in California iniziato a ridosso delle elezioni americane del 2016.

Una lettura godibilissima, che parla di com’è vivere nella California dell’epoca Trump intervallando il tutto con incontri e antiagiografie dei leader del mondo tech – ma anche di imprenditori e scrittori – da cui emergono tratti assurdi e un po’ patetici. Zuckerberg odiatissimo nel quartiere di Mission in cui ha preso casa perché un altro di quei “coatti arricchiti”. Il co-fondatore di Airbnb, Joe Gebbia, che “essendosi tolto tutti gli sfizi, vuole comprarsi un passato”: di lui seguiamo il viaggio a Mezzojuso, paesino siciliano d’origine della famiglia, in cui tutti gli abitanti tentano di accreditarsi come parenti. O ancora – spostandoci indietro di una generazione e uscendo dal mondo tech – Jean Paul Getty, famoso filantropo, incredibilmente taccagno in famiglia tanto che “nelle residenze sparse per il mondo aveva installato telefoni a gettone” e quando fu rapito il nipote pagò del riscatto richiesto solo “il massimo deducibile dalle tasse”.

Sulla carta sembrerebbe un regalo per la reputazione dei signori del silicio, mitizzati e deumanizzati fino a cambiare specie, come Zuckerberg che i forum tra complottismo e cazzeggio classificano come rettiliano.

Ma niente fa pensare che ci sia una missione di redenzione in questo racconto. Un “in fondo sono esseri umani come te”.

Le responsabilità sono comunque ben evidenti.
L’ipocrisia di John Mackey di Whole Foods che ha popolarizzato il cibo biologico e scritto libri dal titolo “Conscious capitalism” ma poi si batte contro la sindacalizzazione dei suoi dipendenti perché i sindacati “sono come un herpes, non ti uccide ma è molto spiacevole”. Oppure l’ambiente tossico e sessista di Uber alimentato dal CEO Kalanick e sfidato da Susan Fowler, ex-dipendente e ora giornalista, che “è stata la pioniera del #Me Too quando non si chiamava ancora così”.

Chiariamo, non è un saggio anticapitalista. Anzi è un racconto che vive sospeso in un certo fascino per questo mondo iperaccelerato. Se uno dei primi capitoli si apre in uno di quei “tragici pitch di altri giovani che tentano di trovare finanziatori per le loro idee strampalate” lo stesso Masneri finirà per farsi coinvolgere dall’entusiasmo per il mondo startupparo al punto da pensare davvero di lanciare un chatbot che automatizza le fasi iniziali del corteggiamento sui siti di dating (vedrete nel libro come finisce la sua avventura).

Però c’è sempre la sensazione che l’accelerazione abbia costi altissimi e che non vale la pena pagare: dal non potersi permettere una casa se guadagni sotto le sei cifre, a pendolarismi eterni, fino alla gara di produttività che ti trascina fuori dal letto all’alba per una riunione (che poteva essere un’email).

Inoltre questo grande luna park tecnologico ha lasciato poco alla libertà e sperimentazione che la California rappresentava. La terra della libertà sessuale oggi organizza un Pride corporate fino all’esasperazione con carri “più o meno sontuosi e coreografati e accessoriati a seconda dei fatturati e delle quotazioni in Borsa”. L’LSD che da simbolo di esperienze della Summer of Love (che però Masnieri racconta come “soprattutto una storia di gentrificazione”) con il microdosing è diventata, “in una deriva aziendalista”, un modo per migliorare le proprie performance lavorative.

Insomma, se avete un amic* che condivide ogni post di “Words of success” (ma che abbia anche almeno un po’ di senso dell’umorismo) questo libro potrebbe essere la sua prima forma di rehab.

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