Ok, millennialTempo di lettura: 2 minuti

Su “ok boomer” ci abbiamo un po’ tutti scherzato, e in certi casi è davvero impossibile non notare la frattura generazionale quando si tratta di alcuni temi legati al lavoro. La generazione dei nostri genitori ha vissuto lo strascico dei “gloriosi trenta” termine con cui si indicano gli anni di crescita economica prima della stagnazione degli anni Settanta. 

Anticurriculum nasce (anche) come un progetto per ragionare sulla condizione lavorativa ed esistenziale dei cosiddetti “millennial” (a voi piace questo termine, a proposito?): i nati tra la metà degli Anni Ottanta e la fine degli Anni Novanta che si sono trovati a fare i conti col tracollo finanziario del 2008, l’austerity, l’ascesa delle destre e adesso la recessione provocata dal Covid-19 durante gli anni della formazione e delle prime esperienze professionali. 

Tante volte, soprattutto se cresciuti in famiglie di classe media, con genitori o nonni  che erano riusciti a crearsi una sicurezza finanziaria ed esistenziale grazie agli effetti del boom economico, abbiamo alzato gli occhi al cielo di fronte all’ennesimo “i giovani di oggi non hanno voglia di sporcarsi le mani col lavoro” quando magari noi arrivavamo da sei mesi di stage a meno duecento euro al mese per dieci ore di lavoro al giorno in una società di comunicazione che fattura venti milioni all’anno. La diseguaglianza è aumentata. Il precariato fa da padrone. Non abbiamo bisogno di ripeterlo, la situazione in cui viviamo immersi parla da sola. 

Parlando di frattura generazionale però si rischia di dare risalto alla retorica del “conflitto generazionale a somma zero”, ovvero all’idea che esista una classe compatta di persone di mezza età privilegiate all’ennesima potenza e che noi giovani con quattro G dobbiamo espropriarli delle loro pensioni, farli lavorare fino a ottant’anni, chiedere indietro ogni centesimo della ricchezza che nonno e nonna hanno (magari faticosamente) accumulato. L’esistenza di una frattura generazionale nella percezione di alcune tematiche non esclude il fatto che le persone nate durante il boom economico non abbiano a loro volta sopportato gli effetti della crisi corrente e in alcuni casi in modo molto pesante. 

Spesso la concezione del conflitto generazionale porta a un particolare tipo di discriminazione sul posto di lavoro: il cosiddetto “ageismo”, la discriminazione verso persone di età più avanzata. Il termine è stato coniato nel 1969 dal geriatra Robert Butler.

Secondo un sondaggio dell’AARP (una non profit statunitense) riportato dal blog Spazio50

“Quasi la metà dei lavoratori intervistati (…) (1.052 adulti occupati di età compresa tra 40 e 65 anni, intervistati dal 30 novembre al 7 dicembre 2020), ritiene che l’età possa giocare a loro sfavore nella ricerca di una nuova occupazione. Le donne (47%) sono più preoccupate degli uomini (41%) rispetto alle loro prospettive lavorative. Il senso di insicurezza aumenta con l’avanzare dell’età. È del 20% tra i 40-49 anni, del 59% nella fascia 50-59 anni, ma finisce con lo schizzare al 72% in quella tra i 60-65 anni”

Insomma, si chiede di lavorare di più, l’età pensionabile cresce, ma è sempre più difficile per i lavoratori più anziani inserirsi o reinserirsi nel mondo del lavoro. Dopo la crisi del 2008, tra le categorie più colpite, ci sono stati i lavoratori anziani a bassa qualificazione: non quindi  lavoratori di classe media, ma persone con bassa scolarizzazione e che hanno meno modo di aggiornare le competenze – specialmente quelle tecnologiche e digitali, oggi chiaramente molto richieste nei posti di lavoro. Per non parlare della difficoltà delle donne, che magari hanno speso anni occupandosi di lavoro riproduttivo, di reinserirsi nel mercato del lavoro produttivo. 

Da una parte quindi ci sono politiche che, in tutta Europa, puntano ad alzare l’età pensionabile anche a fronte dell’invecchiamento della popolazione mondiale; dall’altra parte la ricerca di occupazione e il reinserimento lavorativo sono più di difficili mano a mano che cresce l’età.

Si è visto anche durante la pandemia, quando gli anziani sono stati più volte additati come “fetta improduttiva della società”. 

Insomma, la visione del “boomer privilegiato” non corrisponde sempre a verità. Una visione della frattura generazionale miope vede un mondo del lavoro con giuste tutele, giuste pensioni e garanzie come un gioco a somma zero; la realtà ci mostra delle sfumature più complesse. La prossima volta che qualche giovanotto impomatato vi propone di tagliare le pensioni per redistribuire la ricchezza potete rispondere: ok, millennial. 

Fonti:

I lavoratori over 50 durante la crisi

Discriminazione di genere e ageismo

Insicurezza lavorativa dopo i 50 anni

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