Lo sciopero dell’otto marzoTempo di lettura: 1 minuto

Abbiamo parlato con tante persone in questi giorni, a proposito dello sciopero dell’otto marzo. Alcune tra di noi hanno avuto la possibilità di scioperare, altre no, per motivi diversi. Chi si trova in situazioni precarie e teme che uscire dalle righe per un giorno metta a rischio il suo posto di lavoro. Chi assiste persone care che non può lasciare sole nemmeno per ventiquattr’ore. Chi ha appelli o lezioni obbligatorie e teme ripercussioni da parte delle istituzioni universitarie. Scioperare è un privilegio in questo momento, anche se dovrebbe essere un diritto garantito dalla costituzione. Tra le altre cose il lavoro precario, la recessione e la mancanza di tutele hanno reso meno esercitabile questo diritto. Per le persone che lavorano con contratti atipici (leggi: più facilmente licenziabili e ricattabili) di fatto è impossibile esercitare un diritto sancito dalla Costituzione italiana. Se le singole persone non possono caricarsi sulle spalle la responsabilità di una rivendicazione, si possono chiedere, collettivamente, le condizioni per cui il sistema cambi e per cui la possibilità di scioperare sia universalmente garantita.

C’è anche chi, a cause di questi limiti, ha scelto soluzioni di diversa natura ma altrettanto valide: chi ha scioperato solo metà giornata, chi ha fatto presente ai propri professori universitari di aver messo un appello obbligatorio proprio l’otto marzo, chi ha fatto uno sciopero bianco (si è presentata a lavoro senza effettivamente fare niente, come segnale di volontà di riappropriarsi del proprio tempo), chi ha evitato di sorridere o di fare convenevoli – in una sorta di sciopero emotivo – chi ha scioperato dal lavoro riproduttivo, lasciando i piatti accumulati nel lavandino.

Buon otto marzo ogni giorno, sperando che lo sciopero torni a essere un diritto e non un privilegio.

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